È capitato a tutti, almeno una volta, di parlare da soli a voce alta o di sorprendere qualcuno a farlo. Ma perché ciò avviene? Scopriamolo insieme.
Parlare da soli non è una cosa da matti. Si tratta, infatti, di un fenomeno normale dovuto alla struttura del cervello, che pensa “ad alta voce”. Ma perché lo facciamo? Ecco la risposta degli esperti.
Parlare da soli: perchè lo facciamo?
Capita a tutti, soprattutto in un momento di stress, di sorprendersi a parlare da soli. Non c’è nulla di strano, è il nostro cervello che pensa “ad alta voce” e fa emergere all’esterno il cosiddetto “discorso interiore“, che affiora involontariamente alle labbra e diventa udibile anche dagli altri. Ciò avviene perché il meccanismo cerebrale che in questi casi inibisce l’articolazione delle parole non si attiva o si attiva solo in parte.
Diversi gruppi di ricerca, osservando con la risonanza magnetica un cervello che pensa, hanno visto “accendersi” le aree connesse al movimento dei muscoli che ci consentono di parlare anche se poi l’individuo che sta pensando resta silenzioso, visto che altre zone del cervello di fatto bloccano il movimento. Ci sono, però, casi in cui questo meccanismo non funziona al meglio e i pensieri vengono a galla in un discorso vero e proprio, ad esempio nei momenti di stress.
Di solito parlare tra sé e sé serve a darsi istruzioni e a ricordare meglio qualcosa. Alcuni, infatti, lo fanno, per memorizzare meglio un’informazione. Altri, invece, parlano da soli per convincere se stessi di qualcosa o semplicemente per ripassare un discorso difficile che dovranno prima o poi fare a qualcuno.
Ci sono persone a cui capita raramente di trovarsi a parlare da sole; altre, invece, lo fanno praticamente ogni giorno.
Gli studi
Il fenomeno interessa da molti anni diversi scienziati perché abbraccia temi in parte ancora misteriosi come la nascita dei pensieri, il senso del sé e la natura della coscienza. Il primo studioso del dialogo interiore è stato lo psicologo Lev Vygotsky, che, quasi un secolo fa, ha osservato che il fenomeno inizia a manifestarsi in contemporanea con lo sviluppo del linguaggio vero e proprio, dunque verso i 2 o 3 anni. I bambini a quest’età iniziano, infatti, a parlare da soli mentre giocano. Come gli adulti, anche i piccoli, si danno istruzioni e si incoraggiano da soli, magari ripetendo frasi che hanno sentito dire dai genitori o dalle maestre.
Tuttavia, il discorso interiore è un meccanismo più complesso di come aveva ipotizzato Vygotsky. Gary Oppenheim e Gary Dell, dell’Università dell’Illinois, hanno evidenziato che a volte esso somiglia a una serie di parole silenziose, mentre altre volte è molto più astratto e non ha tutte le caratteristiche del linguaggio vero e proprio.
Gli studi di Fernyhough hanno dimostrato che almeno il 60% delle persone riferisce che il proprio discorso interiore è più che altro un dialogo tra se stessi e un’altra “voce”, dunque non può essere definito un monologo. Esso ha un ruolo importante nella regolazione del comportamento (è fondamentale per esempio nell’autocontrollo, come hanno dimostrato alcuni ricercatori dell’Università di Toronto), e serve anche a motivarsi quando si deve fare qualcosa.
In qualunque forma si presenti, che sia dialogo o monologo, la nostra voce interna ha una grande importanza nel renderci consapevoli di chi siamo come individui: “Il discorso interiore ci consente di analizzare verbalmente le nostre emozioni, motivazioni, i nostri impulsi e modelli comportamentali, portando alla coscienza ciò che resterebbe sommerso nel subconscio”, ha affermato lo psicologo Alain Morin, della Mount Royal University di Calgary (Canada), uno dei più importanti studiosi del discorso interiore.
Secondo il neurologo sperimentale Ethan Kross, fondatore del laboratorio sulle emozioni e sull’autocontrollo dell’Università del Michigan, il discorso interiore è il meccanismo che sta alla base di pratiche millenarie come la preghiera silenziosa e la meditazione.
I benefici del dialogo interiore
Il discorso interiore è importante soprattutto perchè rende più efficiente la memoria di lavoro, ovvero quella che ci permette di fare tutte le piccole cose quotidiane. A tal proposito, l’antropologo inglese Andrew Irving ha condotto un esperimento: per 14 mesi ha ‘origliato’ nelle menti di oltre 100 newyorkesi. A persone incontrate casualmente per strada chiedeva all’improvviso di incidere su un registratore che cosa stessero pensando in quel momento. In questo modo ha scoperto che molti ripassavano le cose da fare nell’immediato, mentre altri riflettevano su avvenimenti del passato per poter dire a se stessi che cosa avrebbero fatto nel futuro.
Fare salti avanti e indietro nel tempo con la mente è quindi un altro degli scopi del nostro dialogo interno che, quando è intenzionale, ha un ruolo fondamentale anche nell’aumentare l’attenzione. Esso favorisce quindi la concentrazione nello studio e in qualsiasi altro compito complesso e aiuta anche a risolvere problemi cognitivi che coinvolgono le capacità visuo-spaziali e quelle in cui si tratta di dividere le cose in categorie. Ciò, secondo gli studi dello psicologo evoluzionista statunitense Bernard Baars, avviene sia nel caso in cui si tratti di discorso interiore deliberato sia in caso di vagabondaggio involontario dei pensieri.
Parlare da soli permette anche di elaborare sensazioni e sentimenti molto complessi. Districando la propria mente attraverso le parole si riesce in qualche modo a fare pace con la complessità di un sentimento, o di una situazione. Inoltre, è una forma di rassicurazione: ascoltare la nostra voce ci infonde coraggio, accresce la nostra autostima e ci aiuta a essere più incisivi nelle discussioni con altre persone.
Infine, parlare tra sé e sè aiuta a riflettere e a mettere in chiaro i concetti.
fonte immagine: https://pixabay.com/it/photos/orecchio-bocca-naso-faccia-testa-3971050/
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