Quando è nata la parola e perché è stata inventata? In merito ci sono diverse teorie, ma la scienza sta ricostruendo tutte le tappe del linguaggio.
Perché l’uomo ha inventato il linguaggio?
La specie umana è l’unica ad aver inventato la lingua. Non esiste gruppo umano che non ne abbia una. Da tempo gli scienziati si interrogano sul perché e su quando sia nato, su quali mutamenti ambientali e anatomici siano stati necessari prima di cominciare a parlare, se l’invenzione della parola sia dovuta a un meccanismo cognitivo specifico o preso in prestito da altre abilità. In merito esistono diverse teorie, ma la ricerca sta cercando di ricostruire le tappe di questo importante passaggio della nostra storia evolutiva.
Le tappe dello sviluppo
Affinché una lingua si sviluppi sono necessari due presupposti: quello biologico (deve essere possibile parlare) e quello sociale (deve essere utile farlo).
Dal momento che sia l’evoluzione biologica che quella sociale della specie umana sono fondamentali per il linguaggio, gli scienziati immaginano che anche in passato debbano essere andate di pari passo.
“Il problema è come ciò sia avvenuto. Oggi si ritiene che questa trasformazione abbia avuto origine dai gesti, che insieme ai vocalizzi hanno reso possibile la creazione delle prime pantomime che si sono infine evolute in una lingua”, ha spiegato Francesco Ferretti, docente di Filosofia del linguaggio all’Università Roma Tre, autore di diversi saggi sull’argomento.
Gli studiosi ritengono che la crescita dell’abilità manuale abbia condotto anche alla specializzazione delle aree linguistiche del cervello. In sostanza, man mano che l’uomo imparava a usare bene la mano dominante, cominciava anche a elaborare una lingua nell’emisfero sinistro, cioè quello che comanda quella mano e invia gli impulsi motori alla metà destra del corpo.
Come è andata dunque? Secondo i ricercatori, all’inizio i nostri antenati comunicavano con le espressioni facciali e con vocalizzazioni rafforzate dai gesti, nel frattempo le mani cominciavano a diventare abili anche nella scheggiatura della pietra.
Uno stesso suono veniva associato a un gesto diverso e in questo modo si ottenevano significati differenti. Con il tempo e l’affinarsi della parola, i gesti hanno poi perso importanza.
Il gioco dei mimi vocale
Per verificare se davvero le vocalizzazioni da sole possano evolvere in modo da esprimere concetti e comunicarli agli altri, lo studioso Marcus Perlman, dell’Università di Birmingham (Regno Unito), ha ideato una sorta di “gioco dei mimi” vocale: i concorrenti dovevano inventare suoni capaci di comunicare oggetti (per es. “coltello”), azioni ma anche concetti come “uno” o “tanti”. Alcuni ci riuscivano; i vocalizzi venivano poi fatti ascoltare a gruppi di individui presi a caso, e spesso erano compresi anche da persone di culture diverse e che parlavano altre lingue. Se coloro che inventavano suoni venivano fatti interagire tra loro, in breve tempo, i vocalizzi si affinavano fino a creare delle rudimentali parole.
È dunque molto probabile che il linguaggio sia emerso da entrambi i metodi comunicativi: gesti e suoni.
Gli studiosi dicono che la sequenza soggetto-verbo-complemento – diffusa in quasi tutte le lingue – potrebbe essere nata spontaneamente dal modo di costruire pantomime per spiegare qualcosa. Inoltre, si ritiene che le prime parole non legate a oggetti a essere comparse potrebbero essere state termini di uso comune come “ieri”, “laggiù”, “non”, “forse”.
Qual è il vero scopo del linguaggio umano?
Soltanto l’uomo ha sviluppato un linguaggio così complesso. Ma perché? Qual è il vero scopo del linguaggio umano? La questione resta aperta.
Secondo lo scienziato francese Jean-Louis Dessalles la lingua si è evoluta soprattutto per raccontare storie: chi era più abile conquistava più compagni o compagne e si riproduceva di più. Della stessa idea è anche lo psicologo evoluzionista statunitense Geoffrey Miller. Secondo lo studioso, siamo diventati così abili nel linguaggio per dare sfoggio della nostra intelligenza in modo da trovare un partner. Insomma, parliamo per poter corteggiare. L’ antropologo Robbins Burling sottolineava che per cacciare e per vivere in generale potevano bastare lingue molto più rudimentali di quelle che abbiamo. Secondo lui se il nostro modo di comunicare è così complicato è perché gli oratori migliori ottengono uno status sociale più alto.
Francesco Ferretti, docente di Filosofia del linguaggio all’Università Roma Tre, afferma che “buona parte della comunità scientifica ipotizza che il fine ultimo della comunicazione umana sia la persuasione: non si comunica per trasmettere informazioni ma perché gli altri pensino qualcosa. E proprio per il fatto che l’altro non è incline a farsi convincere, abbiamo inventato le storie, uno strumento che funziona benissimo, soprattutto nel corteggiamento”.
Secondo gli studiosi, dunque, la lingua serve a indurre pensieri nell’ascoltatore, quindi, in un certo senso, a manipolarne la mente. Alcuni scienziati fanno risalire questa capacità a circa un milione di anni fa.
fonte: Focus
fonte immagine: https://pixabay.com/it/photos/cubi-di-legno-abc-cubi-lettere-473703/
Continua a leggere su atuttonotizie.it
Vuoi essere sempre aggiornato e ricevere le principali notizie del giorno? Iscriviti alla nostra Newsletter