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Long Covid, ogni variante comporta postumi diversi

Secondo uno studio osservazionale italiano i sintomi del Long Covid potrebbero essere diversi per ogni variante del virus. Ecco cosa è emerso dalla ricerca.

Secondo uno studio osservazionale italiano i sintomi del Long Covid potrebbero essere diversi per ogni variante del virus. Ecco cosa è emerso dalla ricerca.

A ogni variante il suo Long Covid. E’ quanto suggerisce uno studio italiano sui postumi dell’infezione da Sars-CoV-2, condotto dall’Università di Firenze e Azienda Ospedaliero Universitaria Careggi, che sarà presentato in aprile al Congresso Europeo di Microbiologia Clinica e Malattie Infettive (Eccmid 2022), a Lisbona, in Portogallo.

Long Covid, postumi diversi per ogni variante

Secondo la ricerca coordinata dal virologo Michele Spinicci e dai colleghi dell’Università degli Studi di Firenze e dell’Azienda ospedaliero universitaria Careggi, i sintomi legati al Long Covid potrebbero essere diversi nelle persone che sono contagiate con diverse varianti.

“Molti dei sintomi riportati in questo studio sono stati misurati, ma questa è la prima volta che sono stati collegati a diverse varianti”, ha spiegato Spinicci.

Dallo studio è emerso che molte delle persone ammalatesi nel 2020 hanno sperimentato per lunghi mesi la totale assenza di olfatto (anosmia), la difficoltà a deglutire (disgeusia) e problemi di udito. Le cose sono poi cambiate con l’arrivo delle varianti. I postumi più comuni con la variante Alfa, ad esempio, sono stati: mialgia (dolori muscolari), nebbia cerebrale, ansia e depressione.

Le stime indicano che oltre la metà dei sopravvissuti all’infezione da Sars-CoV-2 sperimenta sequele nella fase post-acuta di Covid.

La condizione di Long Covid è stata osservata sia in anziani che giovani, sia in persone sane che con malattie preesistenti, sia in persone ricoverate in ospedale che in quelle con sintomi lievi.

Lo studio

Lo studio condotto dai ricercatori dell’Università degli Studi di Firenze e dell’Azienda ospedaliero universitaria Careggi è uno studio osservazionale retrospettivo, che non dimostra quindi causa ed effetto, ma pone l’accento su un problema non di poco conto. Nella ricerca sono stati coinvolti 428 pazienti – 254 (59%) uomini e 174 (41%) donne, trattati nell’ambulatorio post-Covid del Careggi tra giugno 2020 e giugno 2021, ovvero quando tra la popolazione circolavano il virus originario e la variante Alfa. A tutti i partecipanti è stato chiesto di compilare un questionario, indicando i sintomi persistenti in media 53 giorni dopo le dimissioni. Inoltre, i ricercatori hanno attinto dalle cartelle cliniche elettroniche per ottenere dati sull’anamnesi, sul decorso microbiologico e clinico di Covid e sui dati demografici dei pazienti. I soggetti esaminati erano stati dimessi dall’ospedale 4-12 settimane prima di presentarsi al servizio ambulatoriale per la visita e prima di completare il questionario.

Il coordinatore della ricerca, Michele Spinicci, ha spiegato che dallo studio è emerso che circa tre quarti dei partecipanti (325 su 428), ovvero il 76%, hanno riportato almeno un sintomo persistente. I sintomi più comuni: mancanza di respiro (37%) e affaticamento cronico (36%) seguiti da problemi di sonno (16%), problemi visivi (13%) e nebbia cerebrale (13%).

I dati mostrano che le persone che avevano contratto il virus in forma più grave, ovvero quelle che durante il ricovero hanno avuto bisogno di ossigeno e di essere curati con farmaci immunosoppressori come tocilizumab, avevano 6 volte più probabilità di riportare sintomi di Long Covid. In particolare, è emerso che chi ha ricevuto un supporto di ossigeno ad alto flusso aveva il 40% in più di probabilità di avere postumi.

Lo studio mostra anche come a essere più colpite da sindromi post-infezione siano le donne, quasi il doppio degli uomini: “Questo dato è stato riportato anche in altri studi, ma al momento non esiste una spiegazione univoca”, ha detto Spinicci. “Ci sono ipotesi riguardo a possibili differenze nell’intensità della risposta immunitaria all’infezione tra uomini e donne. D’altra parte sappiamo che anche nella fase acuta il virus si comporta in modo diverso tra i due sessi, esponendo gli uomini ad un maggior rischio di evoluzione negativa”, ha aggiunto.

Inoltre, a sorpresa, è emerso che le persone con diabete di tipo 2, fra le più duramente colpite dal virus, sarebbero meno a rischio di lunghe sequele.

I ricercatori hanno messo a confronto i sintomi segnalati dai pazienti che si sono ammalati tra marzo e dicembre 2020 (quando era dominante la forma originale di Sars-CoV-2) con quelli segnalati dai pazienti infetti tra gennaio e aprile 2021 (quando circolava maggiormente la variante Alfa), e hanno così scoperto un cambiamento sostanziale nel modello dei problemi neurologici e cognitivi/emotivi sperimentati nel post Covid: nel secondo gruppo risultavano più comuni sintomi come dolore muscolare, insonnia, cervello annebbiato e ansia o depressione, mentre la perdita dell’olfatto, la difficoltà di deglutizione e i problemi all’udito erano diventati meno frequenti.

Gli autori della ricerca hanno precisato che sono necessari ulteriori studi per comprendere quanto scoperto.

“La lunga durata e l’ampia gamma di sintomi ci ricordano che il problema non sta scomparendo e che dobbiamo fare di più per supportare e proteggere questi pazienti a lungo termine. La ricerca futura dovrebbe concentrarsi sui potenziali impatti delle varianti preoccupanti e sullo stato della vaccinazione sui sintomi in corso”, ha spiegato Spinicci.

fonte immagine: https://pixabay.com/it/photos/covid-19-salute-coronavirus-corona-5169689/

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