Il disastro del Vajont è una delle catastrofi ambientali più importanti d’Europa. A 57 anni da quel giorno, rimane vivo il ricordo e il dolore.
Il disastro del Vajont, la valle al confine tra Veneto e Friuli Venezia Giulia, è stata una delle catastrofi ambientali più tragiche della storia italiana. Dal quel 9 ottobre 1963, in cui morirono 1917 persone letteralmente travolte da una valanga di acqua e detriti, sono trascorsi 57 anni e ancora l’eco di quella tragedia vive nella memoria degli italiani.
La storia
Nel 1929 la valle del fiume Vajont viene individuata come zona ideale per la costruzione di un bacino idroelettrico. Il progetto viene approvato nel 1942 dal Consiglio superiore dei lavori in un procedimento non del tutto legale. Sta di fatto che, approvato il progetto, la SADE (Società Adriatica di Elettricità) può procedere alla costruzione. I lavori inizieranno solo nel 1957, grazie a fondi nazionali, e termineranno nel 1959. Poco dopo iniziò il riempimento, ma già dal 1960 iniziarono a verificarsi crolli franosi e problemi simili.
La popolazione
La popolazione su cui incideva la diga abitava i centri di Erto, Casso e Longarone e di numerose altre località sparse nel percorso interessato dalla frana. Da subito gli abitanti notarono i continui fenomeni franosi e denunciarono pubblicamente anche gli strani boati che provenivano dalla diga. Anche la giornalista Tina Merlin, su L’Unità, si occupò della questione, ma evidentemente nessuno diede il giusto ascolto a quanto veniva raccontato.
La tragedia del Vajont
Il 9 ottobre 1963, alle ore 22:39, si staccò dal sovrastante Monte Toc una frana di circa 2 km che precipitò nell’invaso, provocando tre onde diverse che superando il limite della diga. Una vera è propria valanga dal potere distruttivo si abbatté sugli abitanti di Casso, Erto e Longarone. Fu quest’ultimo il centro che registrò il numero maggiore di vite spezzate, ben 1450. La furia dell’acqua, mista a detriti e terra, ha spazzato via interi paesi, distrutto vite e nuclei familiari, lasciando aperta una ferita che ancora oggi è difficile da rimarginare.
I giorni successivi
Da subito si attivarono i soccorsi. Tra i soccorritori, oltre ai Vigili del Fuoco giunti da Belluno e da altre località della provincia, intervenne l’Esercito e in particolar modo il gruppo Alpini, che scavò a mano alla ricerca di superstiti. Bisogna ricordare che tra i soccorritori dovettero intervenire anche Vigili del fuoco dei Nuclei Sommozzatori, Terra ed Elicotteristi. In totale furono recuperati solo 1500 corpi, molti dei quali non più riconoscibili.
Il processo
La tragedia del Vajont fu causata da un avvenimento naturale, ma l’uomo ha la sua responsabilità per non aver tenuto conto di tutte quelle denunce che erano solo il preavviso di ciò che sarebbe accaduto. Nelle varie fasi del processo, conclusosi definitivamente nel 2000 con un accordo per la ripartizione equa degli oneri di risarcimento danni tra ENEL, Montedison e Stato Italiano, sono emerse carenze, superficialità e negligenze di vario tipo. Resta oggi l’amarezza per una tragedia che forse poteva essere evitata.
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FONTE IMMAGINE: https://pixabay.com/it/photos/vajont-diga-disastro-2094568/